Un annuncio che ha lasciato tutti basiti (ma non troppo) ha riguardato l’Università di Harvard. Si è deciso di proseguire con le lezioni online fino a giugno 2021 a causa della pandemia.
In Italia com’è la situazione universitaria invece? Il trend sembra opposto, nel senso che si sta cercando di far rientrare gli studenti in aula già a settembre. Il monitoraggio dei contagi prosegue, ma qualora non ci sia una risalita nella curva, si percorrerà questa strada.
La didattica, in tempo di lockdown, era sotto i riflettori, intenta a spostare tutte le operazioni quotidiane sul web: dalle lezioni agli esami, fino alle proclamazioni. E, grazie alla buona volontà degli addetti ai lavori e agli strumenti utilizzati, i risultati possono essere ritenuti soddisfacenti. Ben 42 atenei su 61 hanno avuto bisogno di una sola settimana per poter iniziare la didattica online. Un successo.
Tuttavia è necessario pensare al futuro, e al ruolo che l’Università (e l’istruzione più in generale) occupa in Italia. Pur avendo, seppur in teoria, scongiurato una perdita di iscritti simile a quella post crisi economica del 2008, i dati non sono ancora soddisfacenti. Ciò è dovuto al numero di laureati, penultimo tra i paesi Ocse, e alla spesa pubblica in università (appena 1% del PIL, con solo Grecia, Bulgaria e Romania a far peggio).
Com’è possibile migliorare la situazione? I fondi stanziati con il decreto Rilancio (1 miliardo e 400 mila euro) verranno ripartiti tra diritto allo studio, ricerca e università. Esiste un piano di assunzione per i ricercatori, con i posti per atenei ed enti di ricerca che saliranno a seimila. È stato anche alzato il tetto Isee massimo per garantire l’università gratuita da 13 mila a 20 mila euro.
Molte città, specialmente quelle che vivono dei propri atenei (come Urbino), si stanno attrezzando per offrire agevolazioni agli studenti in materia di tasse, alloggi e connessioni. Persino nelle aule si andrà probabilmente verso una divisione tra la didattica in aula e quella via web.
Ulteriori questioni da affrontare riguarderanno il proseguimento degli studi di chi esce da istituti professionali e tecnici o chi proviene dall’estero. “È il momento di spingere sull’internazionalizzazione dei nostri atenei” sostiene il rettore di Bologna Francesco Ubertini, guardando al mondo inglese colpito dalla Brexit e dalla pandemia.