Chi sono gli analfabeti funzionali? Questa definizione la sentiamo ripetere sempre più spesso in tv, la leggiamo sui giornali, la ascoltiamo nei dibattiti politici.
Gli analfabeti funzionali sono quelle persone che sanno scrivere, leggere e fare i calcoli, ma non sanno comprendere è interpretare la realtà intorno a loro.

Non capiscono un articolo di giornale malgrado riescano a leggerne le parole, non riescono a compilare precisamente domande di lavoro o a interagire adeguatamente con i device digitali.

L’analfabetismo funzionale, diverso da quello strutturale (ovvero chi non è in grado né di leggere né di scrivere), è un fenomeno sempre più diffuso, secondo cui un individuo ha imparato effettivamente le basi della scolarizzazione, ma non è in grado di interpretare in modo corretto i termini di un contratto o riassumere un testo.

In Italia, un report del 2009, ha stimato che circa il 47% degli italiani è classificabile come analfabeta funzionale, questo mette il nostro Paese in una posizione alta nella classifica europea.

Molti associano lo sviluppo di questo fenomeno ai social network, dal momento che all’interno di esso tutti hanno lo stesso spazio per potersi esprimere. Uno spazio limitato, in cui semplificare o copiare le dinamiche comunicative di altri. Lo stesso Umberto Eco dice “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.”

Il giornalista Enrico Mentana a tal proposito, coniò il termine “webete” un unione tra le parole web ed ebete, che ha un po’ le stesse caratteristiche dell’analfabeta funzionale che si affaccia al mondo dei social network.

Al di là delle definizioni, l’analfabetismo funzionale è un problema serio di questo paese che pone le sue radici nell’istruzione scolastica.